La Cassazione conferma: niente assegno divorzile in presenza di convivenza di fatto (anche qualora la convivenza venisse veno).
Il caso: Una donna, in attesa della sentenza di divorzio, instaura una relazione con un nuovo compagno. La coppia convive per un certo periodo, poi le strade, almeno apparentemente, si dividono.
Nel frattempo il Tribunale emette la sentenza di divorzio e respinge la domanda presentata dalla ex moglie per ottenere l'assegno divorzile.
La Corte d'Appello conferma la sentenza di primo grado "ritenendo insussistenti i presupposti per procedere al riconoscimento dell'assegno di divorzio in quanto ( la ricorrente) aveva instaurato un rapporto di convivenza more uxorio con un altro uomo e non aveva dato prova dell'allegata cessazione della relazione".
La sentenza: la Cassazione con la sentenza n.19345/2016 conferma la pronuncia di appello respingendo la domanda di attribuzione di assegno divorzile con questa motivazione, ancora più perentoria: "l'instaurazione di una nuova famiglia, ancorchè di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore e il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge, cosicchè il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso (...) la formazione di una famiglia di fatto... è espressione di una scelta esistenziale libera e consapevole che si caratterizza per l'assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e quindi esclude ogni residua solidarietà post matrimoniale con l'altro coniuge, il quale deve considerarsi ormai definitivamente esonerato dall'obbligo di corrispondere l'assegno divorzile".
Segnaliamo che la pronuncia qui commentata si inserisce è nel solco di altre del medesimo tenore (Cass. Civ. n.6855/2015 e n.2466/2016). Il principio di diritto sopra espresso sembra quindi cristallizzarsi sempre più nel tempo.
Luglio 2016
N.B. il presente articolo ha uno scopo meramente informativo e orientativo. Non può essere inteso, nemmeno in senso lato, come parere professionale. Nel caso di problematiche occorre sempre rivolgersi al proprio legale di fiducia e far esaminare il caso concreto al fine di ottenere un parere personalizzato e completamente attendibile.
Sottrarsi ai rapporti intimi può portare all'addebito.
Il caso: una coppia si separa e nei giudizi di merito viene addebitata la separazione alla moglie perché la donna, dopo la nascita di un figlio, aveva rifiutato per anni ogni rapporto sessuale col marito, affermando di provare nei suoi confronti un sentimento di repulsione.
La causa finisce in Cassazione
La sentenza: la Corte (sentenza 19112/2012) rigetta il ricorso e conferma l'impugnata sentenza con queste motivazioni. "Il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge configura e integra violazione dell'inderogabile dovere di assistenza morale (...). Tale volontario comportamento (...) legittima pienamente l'addebitamento della separazione, in quanto rende impossibile al coniuge il soddisfacimento delle proprie esigenze affettive e sessuali e impedisce l'esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato".
Questa interessante pronuncia, se non può essere generalizzata (perchè come sempre è bene ricordare che ogni caso fa storia a sè) stabilisce il principio secondo cui il rapporto sessuale, almeno astrattamente, si configura come vero e proprio obbligo giuridico, per cui in caso di inadempimento è astrattamente ipotizzabile la "sanzione" dell'addebito della separazione.
Novembre 2012
N.B. il presente articolo ha uno scopo meramente informativo e orientativo. Non può essere inteso, nemmeno in senso lato, come parere professionale. Nel caso di problematiche occorre sempre rivolgersi al proprio legale di fiducia e far esaminare il caso concreto al fine di ottenere un parere personalizzato e completamente attendibile.
L'insegnante (e la scuola) non rispondono dei danni subiti da un alunno fuori dalla struttura
Il caso: gli scolari escono dalla scuola. Una ragazza si siede sul parapetto delle scale e viene spinta da un compagno, cade all'indietro e si procura lesioni molto gravi. Viene richiesto il risarcimento dei danni, ma la domanda viene respinta sia in primo grado che in appello. La causa perviene in Cassazione.
La sentenza: La Suprema Corte (sentenza 16 febbraio 2015 n.3081) respinge la domanda risarcitoria con questa motivazione. "Il presupposto di fatto della responsabilità dell'insegnante per il danno che l'allievo subisce è che gli sia affidato. Colui che agisce per ottenere il relativo risarcimento, quindi, sia che invochi la responsabilità contrattuale, per non aver l'insegnante diligentemente adempiuto all'obbligo di sorvegliare gli alunni, sia che invochi la responsabilità extracontrattuale, per non avere l'insegnante adottato le cautele necessarie, suggerite dall'ordinaria prudenza, in relazione alle specifiche circostanze di tempo e luogo, affinché sia salvaguardata l'incolumità dei discenti minori affidati, deve, in ogni caso, dimostrare che l'evento dannoso si è verificato nel periodo di tempo in cui l'alunno era sottoposto alla vigilanza dell'insegnante". Per la Corte l'allievo è affidato all'insegnante quando si trovi all'interno della struttura: in questo arco temporale e spaziale l'insegnante ha l'obbligo di vigilare ed è responsabile per quanto può accadere.
Giugno 2015
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